Se chiudo gli occhi, lo rivedo ancora quel terrazzino, per i bimbi piccoli che abitavano in quel grande caseggiato, rappresentava un esiguo spazio gioco, uno sbocco naturale per stare insieme. Un giorno accadde d’un tratto che uno dei piccoli, per guardare meglio le galline nel cortile sottostante infilò la testa tra le aste in ferro della ringhiera di protezione e, non riuscendo più a ritirarla, cominciò ad urlare mettendo tutti in allarme, attirando tutte le donne presenti ma nessuna riusciva ad allontanare le aste di ferro a forza di braccia, il bimbo cominciava a diventare cianotico quando, finalmente, arrivò un uomo dei nostri che con prontezza di spirito, allontanò le sbarre e fece uscire piano prima le orecchie del piccolo e così tutta la testa.
Il salvataggio è stato uno dei tanti episodi che hanno costellato la vita del corridoio di quelle cinque famiglie sistemate lì da sfollate, a causa della guerra appena trascorsa; cercavano di vivere la vita, pur con tanto lavoro e le donne, maggiormente impegnate dei maschi nell’accudire ai figli, si davano una mano l’una con l’altra per far sì che i bimbi non fossero mai soli finchè la loro mamma si trovava al lavoro. Erano donne sincere, affidabili, con tanto cuore, genuine come la passata rustica.
Sul terrazzino c’era un rubinetto d’acqua potabile con sotto una vasca di cemento quadrata dove si sciacquavano i panni: bacinelle di legno e di zinco tenevano in ammollo le tute blu degli operai, durante l’inverno diventavano durissime da lavare, le dita delle mani, a causa dell’acqua gelida, diventano come ghiaccioli, non c’erano guanti di protezione.
A fianco della porta d’entrata del terrazzino c’erano due cabine di servizio igienico alla turca, al centro, tesi a distanza regolare, i fili di ferro per stendere lenzuola e panni al sole, ogni tanto erano tirati per farli stare ben tesi, si arrugginivano spesso e bisognava cambiarli e tenderli di nuovo, questo era uno dei compiti dei mariti.
C’erano dei vasi di terracotta lungo il muro, di misure e forme diverse, poiché ogni famiglia metteva al sole il proprio vaso; i fiori che si coltivavano erano comunemente gli stessi, qualche pianta grassa, gerani zonali rosso fuoco, basilico, petunie colorate e qualche garofano ottenuto mettendo nel terriccio un getto laterale del fiore ricevuto in occasioni speciali come le comunioni, cresime, compleanni; riuscire a farlo crescere e fiorire dimostrava una grande cura e passione.
A primavera il terrazzino diventava un cantiere aperto, colori a tempera e pennellesse erano pronte per dipingere pareti e locali delle piccole abitazioni, un po’ anneriti dalle stufe durante l’inverno; i più volonterosi tinteggiavano di bianco anche il corridoio.
L’estate era spesso torrida nel corridoio e anche sul terrazzino l’afa non tardava a farsi sentire, per avere il fresco della sera bisognava bagnare il cemento di copertura e aspettare le ore notturne, nella speranza che le zanzare non si facessero troppo agguerrite dato che l’acqua le attraeva.
Su quel quadratino buio le stelle brillavano sopra di noi pulsavano e facevano sognare!
Arrivavano su, nel silenzio fino a noi, alcune voci provenienti dai vicoli prossimi, ai lati del caseggiato, delle persone che si attardavano a chiacchierare fino a tardi, voci portate come da una radio in lontananza.
Una sera d’estate tutto il corridoio si riempì di pipistrelli, entrati probabilmente dalla porta del terrazzino rimasta aperta, volavano a destra e a sinistra senza riuscire a infilare la via d’uscita, a quel punto la nonna, si mise un fazzolettone in testa per il timore che questi si potessero impigliare fra i capelli e, brandendo una scopa in aria cercò in tutti i modi di far loro trovare l’uscita. Ci volle parecchio tempo e tanti gridolini di paura prima che si potesse liberare il corridoio dall’invasione. Quella sera a vivere l’avventura c’eravamo solo noi due e l’abbiamo vissuta come una gratificante vittoria al femminile!
Da quegli anni, molte cose sono cambiate, in meglio per fortuna ed anche il complesso caseggiato è stato restaurato ma del terrazzino cosa ne sarà stato? Chissà forse è ancora là sotto le stelle!