Come un frutto velenoso di Ippocastano, la malattia aggravata dalla vecchiaia avanzata, si è ultimamente impadronita di mia madre, la quale non ha più la forza di percorrere un percorso emotivo che le dia il tempo di abituarsi alle cure mediche ospedaliere e si trova a dover riemergere durante il giorno da una fase su, una fase giù, come se si trovasse tra un’onda e l’altra.
In alcuni momenti la troviamo in collera con il destino ed è molto difficile saper darle conforto; so che non esiste una formula e che non è facile assistere chi percepisce di doversi allontanare dalle persone care. Parlare, diventa difficile, la conversazione deve fluire verso i suoi desideri cercando di dare un ascolto positivo e facendo cadere subito qualunque discorso che le può creare disagio.
Nel corridoio del reparto ospedaliero, appeso alla parete vi è incorniciata la lettera di una madre alla figlia, leggendola non si può fare a meno di condividerne il sentimento. Fra tutte le parole lette, quelle che più mi hanno colpito perché le ha pronunciate oggi anche mia madre, sono queste: “cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive”.